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Quando la salvezza incontra la samaritana diventa intimità

15 Maggio 2021 in Donna & Catechesi 0

A cura di sr Stefania Baneschi

Suore Missionarie Francescane di Gesù Bambino

Dentro di noi c’è una melodia nascosta, del cuore. È il nostro mondo interiore, dove risiedono affetti, desideri, e abita lo Spirito di Dio al centro di noi, in profondità. Questa voce, questa “melodia”, può rimanere soffocata o nascosta, può venire ignorata, oppure può essere la spinta a cercare, a conoscere questo luogo profondo, intimo che può essere “riempito” solo da Dio perché ognuno di noi è fatto per lui e lui lì a noi, si dona, parla, ama. Quel “grido” del cuore è ugente come una sete, e spesso ci spaventa. Per questo ognuno di noi a volte vi risponde costruendo barriere per difendersi, ripararsi. Siamo abitati da una sete profonda di felicità, di bellezza, di amore. Non altrove ma è proprio al cuore della nostra sete che zampilla il desiderio di Dio che lì, si fa trovare, come ad un inaspettato appuntamento.

Siamo tutti come quella donna Samaritana descritta nel Vangelo di Giovanni (Gv 4, 5-42) che siede al pozzo di Sicar nell’ora più calda, di nascosto. A mezzogiorno nessuno attinge al pozzo: lo si fa al mattino, quando è fresco. A quell’ora la donna va per attingere acqua e non essere vista, per star lontana dalla gente e dalle loro parole cattive. Al pozzo ci sono due assetati: la donna e Gesù. Vengono entrambi con il cuore carico di desideri. Lì i desideri confusi della samaritana si incontrano con il desiderio di Dio di raggiungere la sete dell’uomo e di riversarsi nel suo cuore. Gesù, autentico maestro del desiderio, esprime per primo la sua sete di amare, di donarsi, di farsi conoscere come acqua viva, affinché possa affiorare sulle labbra riarse della donna quello stesso desiderio, quella stessa sete: dammi da bere Signore, dammi te stesso! 

Gesù viene al pozzo per incontrare una donna sfinita dalla sete che giunge sotto il sole cocente delle sue delusioni, tentativi di strategie affettive di amore e felicità fallite. Anche noi, come quella donna samaritana, spesso capiamo di essere assetati, non solo fisicamente, ma anche di relazioni, di amore. Abbiamo una sete profonda di felicità che non viene soddisfatta da nessuna cosa materiale e spesso neppure dalle relazioni più intime e calde.  In questo nostro bisogno di vita, di affetto, di comunione, di intimità, è possibile che siamo stati delusi. Magari a ferirci sono state relazioni sbagliate, errori commessi o subiti.  L’amarezza di questa esperienza potrebbe averci fatto ritrarre dalle relazioni, tenerci sulla difensiva, per non esporci troppo. Essere veri, aprire il cuore, mostrarsi per come si è, confidare parti profonde di noi all’altro potrebbe farci paura. Meglio indossare delle maschere o semplicemente rimanere sulla superficie. E forse è proprio questa la più grande tristezza che possiamo sperimentare nella vita: quella di non avere nessuno a cui affidare il nostro cuore, che ci conosca fino in fondo.

La samaritana si lascia coinvolgere dalla delicatezza del Signore Gesù, lo lascia entrare nel suo deserto, nel suo bisogno di relazioni sincere, nel suo vuoto di incontri autentici e lì il vero Mendicante di Amore schiude nel cuore della donna i sigilli della sua sorgente interiore che poco prima era oppressa e ingolfata dal dolore e dall’umiliazione. Davanti a quegli occhi privi di giudizio ma colmi di tenerezza e misericordia, quella donna può esporre la sua vita senza timore, può farla affiorare, proprio come una sorgente dal cuore buio della terra.  Ecco la salvezza per lei e per ciascuno di noi: essere condotti a scendere nel profondo di noi stessi e riuscire a trovare la forza e la dignità di esprimere, liberare, ciò che siamo realmente, poter raccontare e lasciarsi ri-raccontare da Lui la nostra storia senza finzioni ed esclamare “Venite a vedere un uomo che mi ha detto tutto quello che ho fatto”. 

Leggi l’articolo completo della rubrica “Donna & Catechesi” sul nr. 16 di Essere catechisti.

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