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Lo sguardo che vince la paura

28 Dicembre 2022 in Spiritualità 0

A cura di Federica Vio

Spiritual Coach


L’epoca che ci troviamo a vivere ci sta mettendo alla prova attraverso il diffondersi di un virus veramente potente e altamente contagioso: la paura. È un virus subdolo, non facilmente riconoscibile. Si nasconde, infatti, dietro le più disparate apparenze, che possono sembrare anche contrarie alla sua essenza, come la sicurezza, la giustizia, la legge. È difficile dunque identificare e isolare questo virus, che si alimenta della confusione che lui stesso crea e, attraverso le sue illusioni, sposta l’attenzione di chi lo cerca per debellarlo, dalla causa ai sintomi rendendo vani i tentativi fatti per guarire. Una cura che agisca direttamente sull’origine del male sarebbe la soluzione, ma la paura non permette di rimanere lucidi per individuare i cammini migliori e fare delle scelte.

Ma c’è un modo per vincere la paura?

Andiamo a interrogare Gesù su questo argomento e su quali rimedi Lui abbia usato come antidoto alla paura. Lo facciamo, ancora una volta, rivisitando un momento della sua vita, che, se ne comprendiamo l’essenza, diventa paradigma per affrontare e vincere questo terribile virus ieri, oggi e sempre.

Prendiamo il brano del così detto rinnegamento di Pietro Lc 22, 54-62.

Immaginiamo ora di avere la possibilità di vedere da vicino il momento in cui Pietro, totalmente sconvolto dalla paura, dopo l’arresto di Gesù, lo rinnega per tre volte affermando di non conoscerlo, lui, l’amico, l’intimo, il difensore. Pietro, aveva visto la situazione precipitare e il Maestro essere brutalmente portato via da una turba di gente armata di spade e bastoni. È sconvolto. Non sapendo cosa fare, segue gli eventi da lontano perché teme di essere lui stesso coinvolto nell’arresto. Essendo uno fra i più prossimi discepoli del Galileo era ben possibile questo esito. Pietro arriva alla casa del sommo sacerdote, dove hanno portato Gesù e si mimetizza fra le persone. Cerca di nascondere la sua agitazione andando a sedere attorno a un fuoco acceso in mezzo al cortile. Diverse persone, però, lo riconoscono e cominciano ad accusarlo e lui, in un’escalation di angoscia, arriva al panico e non capisce più nulla. Non sa più quello che dice, né quello che fa, si sente sconvolto da un vortice di possibilità nefaste che gli anticipano i tormenti di una possibile cattura e tortura. Sente su di sé l’alito della morte. Niente di tutto questo in quel momento è reale, ma la paura glielo fa sperimentare fisicamente. Il gusto, l’olfatto, la vista, tutti i sensi sono coinvolti in questo anticipo di dolore e le sensazioni sono amplificate come in una cassa di risonanza. 

In questo stato emotivo, strattonato, ingiuriato, accusato, Pietro si ritrova inaspettatamente faccia a faccia con Gesù, a sua volta ridotto a una maschera di dolore per le percosse ricevute prima ancora di essere stato giudicato in un giusto processo. 

È in questo drammatico momento che vogliamo usare il fermo immagine e fare uno zoom sullo sguardo che i due si scambiano. Nessuna parola viene pronunciata. Il silenzio crea lo spazio perché lo sguardo di Gesù parli. Ma cosa dice questo sguardo? Possiamo desumerlo dalla conoscenza che abbiamo di Lui e dagli effetti che il suo sguardo produrrà su Pietro a breve e lungo termine.

Subito dopo Pietro uscirà e piangerà amaramente. Cosa è successo in quei brevi e intensissimi istanti? Cosa fa piangere Pietro? Forse Gesù gli ha rivolto uno sguardo accusatore? “Hai visto che mi hai tradito? Te l’avevo detto!”.

Forse lo sguardo era deluso? “Guarda come mi hanno ridotto. Speravo che almeno tu mi saresti stato vicino!”.

Forse Gesù era così sofferente che il suo sguardo trasmetteva l’angoscia di dover bere quel calice di dolore. “Ho paura, Pietro fai qualcosa ti prego!”.

In tutti questi casi possiamo spiegarci il pianto di Pietro, ma non la successiva traiettoria del pescatore galileo.


Continua a leggere l’articolo sul numero 22 di Essere Catechisti

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