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La samaritana: sei volte sbagliata

8 Luglio 2021 in Formazione 0

P. Stefano Panizzolo, LC

Sacerdote @stefanopanizzolo_lc

 

«Gesù dunque, stanco del viaggio, sedeva presso il pozzo. Era verso mezzogiorno. Arrivò intanto una donna di Samaria ad attingere acqua. Le disse Gesù: «Dammi da bere». I suoi discepoli infatti erano andati in città a far provvista di cibi. Ma la Samaritana gli disse: «Come mai tu, che sei Giudeo, chiedi da bere a me, che sono una donna samaritana?». I Giudei infatti non mantengono buone relazioni con i Samaritani. Gesù le rispose: «Se tu conoscessi il dono di Dio e chi è colui che ti dice: “Dammi da bere!”, tu stessa gliene avresti chiesto ed egli ti avrebbe dato acqua viva». Gli disse la donna: «Signore, tu non hai un mezzo per attingere e il pozzo è profondo; da dove hai dunque quest’acqua viva? Sei tu forse più grande del nostro padre Giacobbe, che ci diede questo pozzo e ne bevve lui con i suoi figli e il suo gregge?». Rispose Gesù: «Chiunque beve di quest’acqua avrà di nuovo sete; ma chi beve dell’acqua che io gli darò, non avrà mai più sete, anzi, l’acqua che io gli darò diventerà in lui sorgente di acqua che zampilla per la vita eterna».  (Gv 4, 6-14)

Quando cade la vergogna in fondo al cuore, vuoi solo scomparire, uscire di scena senza far rumore. E sei pronta ad affrontare l’ora più calda del giorno pur di non incrociare quello sguardo sdegnato, la risata beffarda, il dito puntato a condanna; perché, per la Samaritana, è già insopportabile guardarsi allo specchio e vedersi sbagliata, sentirsi colpevole. Sei volte colpevole. 

La donna di Samaria è stanca di lottare; la sua vergogna è il prezzo di quel sogno d’amore già buttato via. 

È così attuale il dramma di questo racconto che subito fa breccia nei nostri cuori. Probabilmente perché, se siamo sinceri, il fallimento di lei parla del nostro. Quante volte ci siamo sentiti così, con un profondo senso di vergogna davanti alle attese degli altri, inadeguati al nostro “ruolo”, stonati nelle nostre corde più intime, nella nostra identità. 

«Io sono amabile solo se…» ci diciamo; e davanti al “personaggio” che vogliamo far vedere agli altri ci troviamo tante volte manchevoli. Ognuno di noi si vergogna di cose molto diverse: chi di essere troppo serio per esempio e chi, al contrario, di ridere e passare per stupido. Il comune denominatore, davanti al senso di inadeguatezza, è “l’essere andato fuori” da ciò che si reputava giusto di sé stessi e che poteva essere mostrato. Noi abbiamo inconsciamente una reputazione da difendere: tutto ciò che pensiamo sia brutto tendiamo a nasconderlo e…ci vergogniamo. 

Io, ad esempio, ancora oggi temo la fatidica domanda: «Com’era padre Stefano da piccolo?» posta ai miei genitori o ad amici di vecchia data. Sì, se voglio essere screditato in poche battute, basta dare la parola a mia madre e ciò che ne esce ha sempre del sorprendente. Quanta paura ci fanno i famosi “scheletri nell’armadio”, veri o presunti che siano. 

Per la Samaritana non c’è la possibilità di sviare il discorso (come faccio io): la sua vergogna è pubblica, sventolata in piazza, sparlata.  

E poi c’è Gesù, e qui cambia tutto. Gesù si avvicina a questa donna in modo totalmente differente. Conosce tutto di lei, e conosce di lei più di quanto ella non sappia di sé . Non è un approccio moralista del tipo: «Cara Samaritana, da te proprio non me lo sarei aspettato!» ma è un’accoglienza incondizionata di chi va oltre l’impressione superficiale e guarda nel profondo. Immagino si sia seduto vicino a lei e con il suo discorso le abbia suggerito: «Ti va di capire che cos’è successo? Io posso spiegarti». Gesù è l’unico che si sia interessato veramente del suo cuore; magari chiedendole: «Come ti senti? Dopo tutto, dopo essere stata ripudiata per cinque volte». È proprio questo che Cristo fa con noi: non giudica e ci aiuta a capire il perché dei nostri sbagli. Da questo contatto umano nasce il cambiamento. 

Egli riscatta il buono di questa donna: la sua sete d’amore. Ma le fa anche vedere che è inutile cercare felicità nell’acqua sporca che mai disseta. La sua guarigione passa per l’accoglienza di sé stessa, per la complessità che caratterizza ogni persona, per il “sentirsi amabile” anche così, oltre tutti i suoi sbagli. Lì nasce la sorgente dell’acqua viva. Questo è sconvolgente per noi, non lo accettiamo: che agli occhi di Dio siamo amabili anche se abbiamo commesso le peggiori cose. Io sono anche le cose sbagliate, ma non sono solo quelle: è la verità che coglie uno sguardo che sa compatire.   

 

Continua a leggere l’articolo sul numero 15 di Essere Catechisti

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