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Resistente come un filo rosso

27 Aprile 2023 in Donna & Catechesi 0

Spesso ci sentiamo inadatti e non all’altezza dei compiti richiesti. Vorremmo avere altre qualità o addirittura essere come qualcun altro, essere altro da quello che siamo. Una storia di donna, insolita e marginale ci fa intravedere che il Dio della rivelazione fa la storia attraverso persone che tutti considerano sbagliate, o sembra vengano scelte per puro caso. Parliamo di Raab una prostituta pagana che viveva a Gerico nell’epoca in cui gli Israeliti iniziarono la conquista di Canaan. La troviamo nel libro di Giosuè (Giosuè 2,1-21). La scrittura racconta che favorì l’occupazione della città da parte delle tribù di Israele e per questo entrò a far parte del popolo di Dio. 

Il racconto biblico ci dice che gli esploratori di Israele erano stati inviati a Gerico per raccogliere notizie su quella terra prima di prenderne possesso: gli israeliti erano molto preoccupati della popolazione che avrebbero incontrato, si diceva vi abitassero dei giganti. 

«Giosuè, figlio di Nun, di nascosto inviò da Sittìm due spie, ingiungendo: “Andate, osservate il territorio e Gerico”. Essi andarono ed entrarono in casa di una prostituta di nome Rahab. Lì dormirono» (Gs 2,1).

Le spie vanno a Gerico, città che sbarra la strada per l’ingresso in Canaan e si rifugiano presso una prostituta. Raab, la cui casa era addossata alle mura della città, si poteva definire quindi, fino a quel momento, per condizione geografica e sociale “una donna ai margini”. Raab non rimane indifferente a quella intrusione ma era incuriosita dal Dio di Israele e forse con l’arrivo di questi soldati cominciò a crescere in lei la speranza che questo Dio l’avrebbe accettata… In modo risoluto, dunque, nasconde gli stranieri perché il re di Gerico li stava cercando per ucciderli. Sorprendentemente quest’accoglienza audace aveva acceso in lei la speranza di un futuro nuovo, la fiducia in un destino diverso da quello che aveva sempre pensato per se stessa. In una tale situazione di pericolo, di tensione, non sono le spie israelite a fare appello al loro Dio, a nominarlo, ma è addirittura la prostituta la quale riconosce il tempo del Signore ancora prima che lo riconoscano i suoi uomini.

“Io so che il Signore vi ha donato il paese, perché il terrore di voi è caduto su di noi, e tutti gli abitanti del paese vengono meno dalla paura davanti a voi” (Gs 2,9).

È lei, una cananea, a proclamare la più grande verità ed emette la più profonda professione di fede che sia uscita dalla bocca di una straniera: “Il Signore, il vostro Dio, è Dio lassù nei cieli e quaggiù sulla terra”. 

La donna, mentendo alle guardie del re, riesce a tenere le spie al sicuro, a proteggere gli esploratori di Israele e depista persino i loro inseguitori dirigendo la ricerca nel lontano deserto. «Sì, gli uomini sono venuti, ma non sapevo chi fossero. Al tramonto… gli uomini sono andati via e non so quale strada abbiano preso». Raab pronuncia queste parole coraggiose pur consapevole che il suo comportamento poteva essere considerato alto tradimento verso il suo paese. Ha compreso da quale parte sta la vittoria e esige dagli scampati un giuramento solenne: “Or dunque, vi prego, giuratemi per il Signore che, come io vi ho usato clemenza, anche voi userete clemenza con la casa di mio padre; datemi quindi un segno sicuro che lascerete in vita mio padre, mia madre, i miei fratelli, le mie sorelle e tutto ciò che appartiene loro e che risparmierete le nostre vite dalla morte” (Gs 2,12-13). La richiesta viene accordata e Raab li mette in salvo calandoli con una corda lungo le mura. Così, quella posizione periferica e marginale si rivela la sola possibilità, per le due spie, di potersi salvare e per la donna l’occasione benedetta di poter cambiare la sua sorte e quella della sua famiglia. Le spie promettono di assumersi la responsabilità della sopravvivenza di ogni membro della famiglia: quando Israele avrebbe assalito la città le case alle cui finestre pendeva una cordicella scarlatta sarebbero state risparmiate perché lì abitavano Raab e i suoi. Sette giorni dopo Israele circonda la città per l’ultima volta e mentre le mura crollano, i soldati tengono fede alla promessa e salvano la vita di Raab e della sua famiglia. Mentre a Gerico tutti morivano, Raab e la sua famiglia trovano una via di fuga.

“Entrarono i giovani esploratori e condussero fuori Raab, suo padre, sua madre, i suoi fratelli e tutto quanto le apparteneva; fecero uscire tutta la famiglia e li stabilirono fuori dell’accampamento di Israele. Incendiarono poi la città e quanto vi era … Giosuè però lasciò in vita Raab, la prostituta, la casa di suo padre e quanto le apparteneva, ed essa abita in mezzo ad Israele fino ad oggi, perché aveva nascosto gli esploratori che Giosuè aveva inviato a Gerico” (Gs 6, 23-25).

Non c’è minaccia di distruzione che impedisca di trovare uno spiraglio nelle mura, un’apertura, dove calare una insignificante cordicella rossa. È il segno che resistere alle avversità è possibile se si ci si mantiene saldamente appesi ad una promessa che può anche essere piccola… ma è solenne! Quando tutto sembra votato allo sterminio forse la parte meno perfetta, quella più fragile, può rivelarsi l’unico luogo da cui ci si lancia verso l’oltre e verso l’Altro, il filo sottile della nostra speranza. Non serve la buona fama, l’eccellenza, l’irreprensibilità ma la capacità di dar credito alla speranza che spesso si traduce in un unico atteggiamento: “resistere”. Accompagnare nella fede e nella vita significa anche infondere negli altri la fiducia che, se Dio è con noi, le mura delle nostre sicurezze possono crollare ma Egli riconoscerà il segno: siamo suoi, ci siamo legati a Lui per sempre. Quella nostra infinita debolezza può essere come una crepa nelle mura della nostra Gerico dalla quale entra ed esce una nuova vita.

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