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Catechisti, sale della terra!

24 Gennaio 2024 in Essere Catechisti 0

Chiara Stramare, storica dell’arte


Il Signore annuncia questa nostra identità dopo il discorso della montagna, dopo le Beatitudini che accompagnano le nostre scelte di essere miti, poveri, umili, operatori di pace… scelte quotidiane e difficili. Di chi vogliamo essere e perché? A chi apparteniamo? A questo mondo o ad un padre buono? A quale voce rispondiamo, a quella del bisogno di affermazione o a quella del Risorto che chiama per nome e chiede di uscire dalle nostre logiche?

Personalmente sento risuonare dentro di me il discorso della montagna e provo una sensazione quasi di ribellione… l’istinto mi scatena una domanda frustrante che probabilmente riguarda tutti: ma come? Come? Come essere tutto questo, sempre? E non solamente quando viviamo quell’impeto di amore verso il Padre… Quando ci sentiamo amati e disposti a tutto è facile avere chiari i nostri grandi desideri e correre verso una meta, anche se ardua e difficile da scorgere. Come essere tutto questo quando dentro di noi non sentiamo nessun grido nostalgico del paradiso ma solo un costante silenzio grigio, una nebbia che appiattisce ogni profondità e prospettiva. Non so se Gesù pensasse che ci saremmo fatti prendere da questo sconforto, ma continua dando una parola definitiva a queste nostre domande: “Voi siete il sale della terra, voi siete la luce del mondo…”.

Noi siamo. Al di là di quello che facciamo o come lo facciamo, la nostra identità è definita da Dio per essere sale e luce. Partire dal presupposto che non siamo sbagliati, non siamo creature da redimere o da purificare diventando altro rispetto a noi stessi, già questo ridimensiona. 

Penso alle mille voci che incontrano la vita dei bambini e di come esse influiscano sulla visione di loro stessi, in una quotidianità confusa, dove i valori sono tutto e il contrario di tutto e anche la modalità con cui vengono comunicati crea confusione… il modo stesso con cui viene comunicato l’affetto e la stima nei confronti dei bambini è spesso contraddittorio: ti amo ma devi raggiungere questi obiettivi; sei prezioso ma devi riuscire in questa cosa; su di te ho delle aspettative… sono logiche malate che ascolto e percepisco nei confronti dei nostri piccoli e non posso fare a meno di notare come risuonino forti anche dentro di me. 

Io stessa le sento vive e operanti e non nego che per cercare di sradicarle mi è richiesta la fatica del fare memoria di quei momenti in cui mi sono sentita amata gratuitamente da Dio.

Siamo sale. Tiriamo un sospiro di sollievo perché, almeno per qualche secondo, possiamo prenderne consapevolezza e fare pace con noi stessi. È un sale che dà gusto, che è essenziale per insaporire, per conservare i cibi, per purificarli, per nutrire il corpo. Noi siamo essenziali, portiamo gusto perché solo noi possiamo fare tutto quello che facciamo, e come lo facciamo. Solo noi possiamo amare chi e come amiamo, solo noi possiamo fare tutta quella serie di scelte quotidiane che sono i tanti tasselli della vita. Solo noi possiamo incontrare o evitare un fratello, ascoltare o ignorare, alimentare una gioia o una frustrazione, oppure decidere di reciderle. Solo noi possiamo morderci la lingua o ribattere, solo noi possiamo salutare o volgere lo sguardo verso un’altra direzione.

Siamo sale e possiamo decidere di mantenerne il gusto o perdere il sapore… in questo ultimo caso, a che serve il sale? Solo a venir calpestato. Questa espressione mi fa venire in mente l’usanza di spargere del sale sui territori che venivano conquistati e rasi al suolo dall’Impero Romano: città distrutte che i conquistatori si auguravano non sarebbero mai più state come prima, dove il sale gettato era una maledizione di sterilità.

Non so se Gesù intendesse questo, ma se penso alla mia vita, posso facilmente immaginarla come una città le cui strade possano essere cosparse dal sale: i miei luoghi di incontro, di scambio, di relazione come la piazza, il Corso, il parco. Le strade principali che percorro quotidianamente, quelle più strette che conducono alla dimora delle relazioni intime. Il luogo del mercato, dove decido per cosa spendere i miei averi e su cosa investire. Il tempio, anche i passi sul piazzale del tempio possono esser fatti su un terreno salato. La città della mia vita è un luogo vitale o sterile?

Ritengo che questa riflessione serva soprattutto a noi, che ci approcciamo al dialogo con i bambini e desideriamo dare sapore. È fondamentale che con lucidità ci ricordiamo del nostro potenziale e anche della miseria in cui possiamo scadere. 

Siamo chiamati a scegliere se portare senso o alienazione. Se decidiamo di fare nostro questo sguardo che Gesù ha su di noi, cerchiamo di averlo in tutto il percorso da fare insieme ai nostri bambini e di incoraggiare loro a farlo proprio. 

Il sale (a differenza dello zucchero e del miele) è anche il simbolo delle difficoltà della vita che vanno affrontate con verità e fatica, che coinvolgono le relazioni e chiedono di essere vissute con autenticità. Il sale brucia sulle ferite e lo sperimentiamo tutte le volte in cui l’incontro con l’altro è talmente vero da scoprirle. Solo attraverso l’accoglienza di questo mistero in cui l’altro svela me stesso, è possibile un incontro autentico e gustare insieme lo stesso cibo saporito.

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