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Debora: responsabile, quindi madre

19 Luglio 2022 in Donna & Catechesi 0

A cura di sr. Stefania Baneschi

Francescane Missionarie di Gesù Bambino


«Era cessata ogni autorità di governo, era cessata in Israele, fin quando sorsi io, Debora, fin quando sorsi come madre in Israele» (Giudici 5,7).

Che cosa vuol dire l’espressione “farsi carico dell’altro”? Forse è un altro modo per esprimere il senso profondo del diventare adulti. Vuol dire portare insieme all’altro la fatica e il peso della vita con pazienza e rispetto. Stare vicino all’altro e accompagnarne i passi vuol dire avere fiducia e saper attendere ma anche prendere delle posizioni e non fuggire di fronte a compiti e responsabilità. Essere autori e non passivi spettatori della propria storia ha a che fare con il divenire capaci di autorevolezza. Fu questo il fondamento dell’autorità che assunse Debora, nel racconto che leggiamo nel libro dei Giudici. Ci troviamo nell’epoca in cui  il popolo di Dio entrò nella terra promessa. Presto in questo luogo tanto desiderato e atteso sperimentò il fascino del benessere e, rivendicando la propria autosufficienza, si dimenticò del Signore volgendo il cuore alle divinità pagane. La Scrittura ritrae il popolo di Israele che allontanandosi in questo modo da Dio si trova a cadere nelle mani dei nemici e torna così a gridare per la sua liberazione. Il popolo è confuso e incerto, irrequieto e senza guida così il Signore si lascia commuovere dal grido del popolo, ne ascolta il lamento e fa sorgere dei liberatori. I «giudici» sono figure carismatiche che Dio suscita per ristabilire le sorti di Israele.

Di solito queste figure erano degli uomini e quindi la figura di Debora è già una presenza che ha dell’“eccezionale”, è unica. Debora, inoltre, appare nella Bibbia come dotata del dono della profezia. Un giorno fece chiamare Barak, generale degli israeliti, e gli rivelò la volontà di Dio: “Va’, marcia sul monte Tabor e prendi con te diecimila figli di Nèftali e figli di Zàbulon. Io attirerò verso di te al torrente Kison Sisara, capo dell’esercito di Iabin, con i suoi carri e la sua numerosa gente, e lo metterò nelle tue mani” (Gdc 4, 6-7) Barak non rifiuta l’incarico ma dubita sul suo esito: «Barak le rispose: “Se verrai con me, ci andrò; ma se tu non verrai con me, io non mi muoverò”» (4, 8). Lui vuole conferme e certezze, lei sa affidarsi a Dio e pronuncia una profezia in cui non spiega in che modo Dio vincerà il nemico, non gli suggerisce una strategia, ma tutto ruota intorno alla forza della fede. È su questa fiducia in Dio che si fonda l’audacia di Debora che non si mette dalla parte della violenza e l’asseconda ma ‘trascina’- quasi letteralmente – il popolo, assumendosi la responsabilità di ascoltare la voce del Signore in un tempo di crisi e smarrimento e di servirlo facendo ciò che è necessario, anche a costo di sbagliare e di pagarne le conseguenze. Questo è ciò che significa essere adulti, essere “madre” dell’altro: schierarsi contro ciò che mette in pericolo l’esistenza e compiere gesti forti e concreti che cerchino strade, che trasformino idee e i valori in realtà. Perché la Parola di Dio diventi realtà c’è bisogno di azioni, di concretezza, di non attendere all’infinito che altri prendano decisioni che solo noi possiamo prendere, di non rimandare a domani, di non piangersi addosso incolpando qualcun altro di ciò che la vita ci pone davanti.


Continua a leggere l’articolo sul numero 19 di Essere Catechisti

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