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“Benedicenza”, ovvero l’arte di “dire bene” degli altri

19 Aprile 2016 in Think BIG! Think NET! 0

L’argomento di cui sto per parlare lo vedo fondamentale per tutti e in particolare per coloro che si occupano di formazione, perché l’esempio e la testimonianza valgono più di tutta la bravura, cultura, creatività nel formare, in particolare nel formare i bambini.

Ormai da decenni cerco di lavorare su di me per non cedere alla tentazione di parlare degli altri, cioè su quell’arte sottile che abbiamo di parlare “male” alle spalle delle persone. Dono che abbiamo in modo particolare noi donne.

Dico dono e non nel senso ironico, in quanto proprio di dono trattasi.

Infatti è particolare attitudine delle donne doversi prendere cura più degli esseri viventi che non delle cose.

Quindi come spiega bene Edith Stein nei suoi scritti sulla donna, noi siamo attente e aperte soprattutto verso i nostri simili, perché è di loro che dobbiamo prenderci cura.

Una donna sarà attenta agli umori, alle attitudini, ai modi delle persone che la circondano. Questo vuol dire vedere un cambio di taglio di capelli, notare l’abbigliamento, il tono di voce, l’arredamento della casa, ecc.

Se fossimo ancora della natura originale, cioè prima del peccato originale, da tutti questi indizi noi trarremmo l’opportunità di intervenire per aiutare chi ci sta attorno a crescere, realizzarsi e svilupparsi.

Ma.. c’è stato quel primo peccato che ha portato conseguenze anche su noi tutti.

Usiamo male questo dono.

Così eccoci alle prese con pettegolezzi, giudizi affrettati, interventi maldestri.

Quando notiamo qualcosa, e lo notiamo, dobbiamo subito dare un giudizio e dopo il giudizio riportarlo ad altri.

Abbiamo poi escogitato un sistema di auto assoluzione che concerne nell’anteporre al pettegolezzo alcune frasi del tipo: “non per parlar male”, “lo dico solo a te”, “a te posso dirlo”, “non dovrei dirlo ,ma”, “so che non bisognerebbe dirlo, ma”, “questo non è parlar male, perché è vero”…

Purtroppo sappiamo, per esperienza, che divulgare qualcosa, anche in segreto, può provocare veri danni per le persone in causa. Le parole dette non possono più essere ritirate, come nel famoso aneddoto della vita di San Filippo Neri, dove dava per penitenza ad una pettegola lo spargere le piume di una gallina spennata e poi recuperarle. Cosa impossibile da fare.

Oltretutto sappiamo bene che le ritrattazioni non le legge nessuno. E ristabilire l’onore perduto di una persona sembra cosa impossibile. Rimarrà sempre il dubbio.

Questa attitudine deve venir sradicata dal profondo.

A volte, infatti, pur tacendo, assumiamo un’espressione di disapprovazione, di fatto non abbiamo detto niente, ma il nostro viso mostra tutto quel che c’era da dire. Facciamo la faccia!

Quindi attenzione!

  1. Vedere non è peccato, accorgersi di alcune situazioni, neanche ma giudicare, non va bene, mai!
  1. Quando vedo qualcosa di “piccante” Per prima cosa non do un giudizio, se devo giudicare, giudico l’azione e non la persona. Se posso, intervengo direttamente con l’interessato, altrimenti prego per lui e tengo per me la cosa. Non parlo naturalmente di crimini.
  2. Mi esercito a pensare bene delle persone, a vedere il loro lato positivo, e a dire bene, cioè a fare della “benedicenza” invece della maldicenza. (“Fa delle ottime torte!”).
  3. Cerco di pensare come Gesù. Con che sguardo guarderebbe Gesù questa situazione?

Questo ultimo punto lo ritengo il più importante per riuscire nell’intento di non pensar male, per non parlar male.

Nel brano del Vangelo dove gli scribi portano l’adultera davanti a Gesù e lui sta scrivendo per terra, per esempio. Quando alza lo sguardo, secondo voi Gesù ha fatto la “faccia”? Ha giudicato la donna? O gli scribi? Impossibile, perché Dio è amore e non può far altro che amare. Non ha giudicato, ha amato, ha dato un’opportunità a tutti.

Del nostro fratello, non dobbiamo accettare solo la parte che ci piace, ma devo amarlo nella sua interezza, anche con i suoi lati oscuri, amarlo come figlio di Dio, debole uomo alla ricerca di Dio, come farebbe Gesù. Infatti che merito ne avremmo se amassimo, perdonassimo, accettassimo solo chi ci piace, chi ci ama? Saremo come i pagani. Se onorassimo solo le persone onorevoli? Hanno più bisogno della nostra stima e rispetto chi non ne ha, non chi è già riconosciuto dal mondo.

Cosa farebbe Gesù? Gesù la sera a casa raccontava a sua mamma tutti i pettegolezzi che aveva sentito?

Altra cosa sulla quale vegliare sono i paragoni.

Se iniziamo a paragonare una catechista con un’altra, un prete con un altro, le insegnanti, ben presto ci troveremo a dare un opinione buona e una meno buona su chiunque.

Impariamo anche a tacere, qualche volta. Non serve che il mondo abbia sempre il nostro punto di vista. Se siamo chiamati a dire il nostro parere usiamo molta carità. Perché della misura con cui misurate sarete misurati.

Ora credo che non finiremo mai questo lavoro, non in questa vita, ma bisogna comunque impegnarsi.

Però più che controllare le nostre cattive abitudini, disponiamoci in modo positivo, con l’aiuto di Gesù, l’imitazione delle sue virtù e di quelle di Maria sua madre, che in questo è stata veramente esemplare. Pensiamo bene, così saremo certi che certe parole non sono uscite da noi.

Non una sciocca ingenuità, ma molta discrezione e soprattutto carità.

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